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da "Il tesoro di carta" di Beppe Forti,  Edizioni "Il capitello - Piccoli" - Torino, 2011

1.
Prologo

Mi chiamo Valerius, e all’epoca dei fatti che sto per raccontare non sapevo ancora né leggere né scrivere. A dir la verità non sapevo nemmeno esattamente quanti anni avessi, forse dodici, forse tredici, o magari addirittura quattordici. Anche a proposito del Secondo Diluvio avevo idee molto vaghe. Ero nato diversi anni dopo la catastrofe e sapevo solo che un brutto giorno il livello del mare si era improvvisamente alzato, allagando in poche ore tutte le zone pianeggianti del pianeta. Gran parte dell’umanità era stata sterminata e solo chi viveva sulle montagne si era salvato, ma le condizioni dell’esistenza erano regredite a tal punto che molti dei superstiti avevano rimpianto di non essere morti nel disastro. Era sopravvissuto solo chi poteva contare sui prodotti di un campicello o di un piccolo allevamento di bestiame, e tanti erano arrivati a scannarsi per un paio di patate. C’erano voluti anni e anni perché la gente imparasse di nuovo a coltivare la terra ma, intanto, gran parte dei superstiti era morta di stenti e ogni tipo di organizzazione sociale si era dissolta. Ne era seguito il caos e biechi personaggi ne avevano approfittato, imponendo ordine e leggi non scritte fondate sulla prevaricazione, sulla violenza e sul terrore.
La catastrofe era sopravvenuta all’improvviso e la gente delle pianure era stata spazzata via senza nemmeno avere il tempo di rendersi conto di ciò che stava succedendo. I sopravvissuti ne avevano attribuito la causa all’impatto di un grosso asteroide caduto nel mezzo di uno degli oceani, forse il Pacifico, e secondo loro l’enorme ondata provocata dall’urto aveva invaso gran parte delle terre emerse, risparmiando unicamente le zone montuose. A differenza del Primo Diluvio, quello di cui parla la Bibbia, le acque non si erano mai più ritirate, poiché i detriti dell’asteroide avevano riempito l’oceano formando un nuovo continente brullo e roccioso.
Nessuno, tuttavia, poteva affermare con certezza che le cose fossero andate davvero in questo modo. Si trattava solo di voci e ipotesi alimentate da una notizia apparentemente senza troppa importanza, diffusa qualche tempo prima dai mezzi di informazione. Essa riferiva di un corpo celeste di notevoli dimensioni che si stava avvicinando all’orbita terrestre, ma che non avrebbe nemmeno sfiorato il nostro pianeta. Evidentemente gli astronomi erano incorsi in un madornale e tragico errore, oppure la verità era stata tenuta segreta per non creare il panico nella popolazione mondiale. In ogni caso, infatti, niente si sarebbe potuto fare di fronte a una minaccia così inesorabile e catastrofica. Se tali dicerie corrispondessero davvero alla realtà, o si trattasse solo di fantasiose supposizioni, nessuno poteva dirlo con certezza. Mentre il mare sommergeva le pianure, tutte le comunicazioni si erano interrotte e non erano mai state ripristinate.
Oltre a non sapere né leggere né scrivere, all’epoca dei fatti che sto per narrare mi era del tutto sconosciuto anche il significato di parole o espressioni come “astronomi”, “corpo celeste”, “mezzi di informazione”, “oceano” o “asteroide”, e ignoravo che prima del Secondo Diluvio si potesse comunicare a distanza con mezzi diversi dai piccioni viaggiatori. Stando ai racconti dei superstiti, tuttavia, mi ero fatto l’idea che a quei tempi la vita fosse molto più confortevole e degna di essere vissuta. Essi, infatti, sostenevano che fosse possibile illuminare a giorno le case e riscaldarle d’inverno senza bisogno di accendere fuochi o candele e che in tutte le abitazioni ci fossero straordinarie apparecchiature per lavare i panni, conservare i cibi e comunicare a distanza. C’erano veicoli in grado di muoversi da soli senza cavalli, e qualche anziano sosteneva perfino di aver volato, da giovane, a bordo di uccelli meccanici che viaggiavano a una velocità di poco inferiore a quella del suono, trasportando sulle ali del vento diverse centinaia di persone!
Dopo il Secondo Diluvio tutto era cambiato: ogni forma di energia si era dissolta e l’umanità si era ritrovata all’improvviso catapultata all’indietro di secoli, impreparata ad affrontare una situazione del tutto inedita e drammatica.
Allora mi era del tutto ignoto che cosa intendessero i sopravvissuti quando parlavano di energia, eppure intuivo che doveva esserci un fondo di verità in quelle storie. Cos’erano, altrimenti, gli ammassi informi di ferraglia arrugginita e di uno strano materiale che non era né legno né metallo, che avevo osservato con curiosità durante il saccheggio di qualche vecchia casa abbandonata? E di che utilità erano stati quei rottami muniti di ruote ancora visibili ai bordi delle strade? Erano quelli i carri semoventi di cui parlavano i vecchi superstiti? Per non parlare dei misteriosi bulbi di vetro che in molte case pendevano ancora dal soffitto e che nessuno aveva voluto togliere di mezzo nell’illusione che prima o poi, per incanto, potessero tornare a illuminarsi.

  Con gli anni sono riuscito a dare risposta a molte domande e, anche se continuo a non sapere esattamente quanti anni ho, ho imparato da un pezzo a leggere e, soprattutto, a scrivere, o almeno così dice chi legge le mie storie, per lo più inventate. Quella che sto iniziando ora, però, non è frutto della mia fantasia, o per lo meno non del tutto. Essa racconta le avventure di una spedizione di cui per caso mi trovai a far parte, che un giorno si mise alla ricerca di uno strano tesoro. Non si trattava del solito forziere pieno zeppo di gemme, suppellettili e monili d’oro e d’argento, ma di qualcosa che secondo i miei compagni d’avventura era ancora più prezioso per recuperare le conoscenze in possesso dell’umanità prima del Secondo Diluvio: un tesoro costituito da vecchi libri di carta!
Prima della catastrofe i libri erano stati sostituiti quasi del tutto da incredibili diavolerie che permettevano, Dio solo sa come, di stivare migliaia e migliaia di pagine dentro un unico marchingegno non più grande di una tavoletta. Indubbiamente si trattava di un enorme risparmio di spazio, ma quegli aggeggi avevano un piccolo ma non trascurabile inconveniente: senza energia elettrica le loro batterie non si potevano ricaricare e le migliaia e migliaia di pagine in essi contenute si chiudevano inesorabilmente, rendendone impossibile la lettura. Ecco perché i vecchi libri di carta erano divenuti così preziosi dopo la catastrofe.

Ho vissuto in prima persona quasi tutti gli avvenimenti che mi appresto a raccontare, ma, non potendo essere dappertutto, qua e là mi sono permesso di lavorare un po’ di fantasia. Se qualcuno, tuttavia, ha il dubbio che mi sia inventato ogni cosa di sana pianta, parli pure con i miei vecchi compagni. Sono loro che mi hanno convinto a raccontare la nostra incredibile avventura.
E, dopo questo lungo preambolo, non mi resta che entrare nel vivo della storia.

(...)

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