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da "Il tesoro di Thera", di Beppe Forti, Edizioni Raffaello, Ancona 2002.

Capitolo primo

AL MUSEO ARCHEOLOGICO DI ATENE

In una calda giornata di fine giugno, più di in turista si chiese che cosa ci facesse all’interno del Museo Archeologico di Atene quella buffa, lentigginosa e occhialuta ragazzina di dieci o undici anni, in maglietta e gonna lunga a fiori, con in testa un cappello di paglia ancor più buffo di lei che, apparentemente da sola, girava per le sale con il naso per aria.
Angela, così si chiamava la ragazzina, avrebbe anche potuto passare per inglese, se non avesse indossato una maglietta su cui campeggiava la scritta “Io la mia mamma”, che rivelava la sua nazionalità, inequivocabilmente italiana.
In realtà Angela non era da sola, ma stava visitando il museo assieme al padre Roberto, alla madre Alessandra, chiamata Sandra per far prima, e al fratello Carlo, uno spilungone di sedici anni, con le scarpe ormai lunghe quasi come barche, che sembrava non avesse la minima intenzione di smettere di crescere e che guardava la sorellina, piccola e minuta, sempre più dall’alto.
- Quanto tempo sprecato per quattro miserabili cocci antichi, quando si potrebbe già essere tranquillamente al mare - aveva sbuffato Carlo, lasciando i genitori e la sorella a contemplare da soli una vetrina di vasi greci e rifugiandosi al bar del museo.
Con un maxi-bicchierone di Coca Cola davanti e con le mani affondate in un sacchetto di patatine, il ragazzo se ne stava adesso a sbirciare due graziose ragazze francesi sue coetanee che, durante la visita non aveva mai perso di vista e che gli sembravano molto più interessanti di tutte le “anticaglie piene di muffa”  (come le chiamava lui) contenute in quel noiosissimo museo.
 Angela, invece, che aveva la passione per l’archeologia e le cose antiche in genere, era tornata indietro da sola a rivedere un oggetto che l’aveva molto colpita e che i genitori avevano chiamato “la maschera di Agamennone”.
- Agamennone era un antico e leggendario re greco - aveva raccontato il padre Roberto - e quando morì il suo volto fu ricoperto con una sottile lamina d’oro.
- La sua maschera - continuò a spiegare Mamma Sandra - faceva parte di un vero e proprio tesoro trovato in una tomba vicino all’antica città di Micene.
L'oggetto aveva colpito molto la bambina perché qualche mese prima, a scuola, aveva imparato a lavorare “a sbalzo”  una sottile lamina di rame e aveva realizzato un faccione che assomigliava come una goccia d’acqua a quello del povero Agamennone.
Angela si attardava ora a fantasticare sulle possibilità del suo piccolo capolavoro di finire nelle vetrine di un museo archeologico come raro esempio di “arte bambinesca” del XX secolo dopo Cristo, quando si accorse che dietro di lei c’erano due strani individui, uno alto e grasso e un altro piccolo e magro, che sembravano la fotocopia di Stanlio e Ollio e che parlavano tra loro in inglese.
- Wonderful!  - esclamò “Ollio”.
Yes, very, very Wonderful!  - sottolineò “Stanlio”.
Angela pensò che erano proprio buffi e, incuriosita, si avvicinò per sentire meglio i loro discorsi.
La pronuncia dei due era nasale, tipica dell’inglese parlato dagli Americani, abbastanza diversa da quella che lei aveva imparato a scuola, ma la bambina si rese conto che riusciva a capire quasi tutto quello che i due dicevano. L’inglese era da tre anni la sua materia preferita, tanto che Angela si divertiva a leggere un sacco di libretti scritti in quella lingua e ad ascoltare e vedere le videocassette che una zia le mandava dall’Inghilterra. Già a undici anni era quindi in grado di capirla e parlarla con una discreta abilità.
- Chissà se il nostro tesoro sarà prezioso come questo? - chiese “Stanlio” all’amico.
- Molto, molto di più - rispose “Ollio” - la tavoletta d’argilla che abbiamo trovato in quella tomba di Saqqara, in Egitto, parla molto chiaramente!
- Mi sembra strano che una tavoletta... ehm... “trovata” in Egitto - replicò “Stanlio” - parli di un tesoro nascosto in un’isola greca!
- Oh! - sbuffò “Ollio” - Fidati di me! - e così dicendo si allontanò verso un’altra vetrina.
Angela, sempre più incuriosita, decise di seguirli.
- Dovremo scavare di notte e di nascosto - disse “Ollio”.
- Io ho paura di scavare di notte nelle tombe! - obiettò “Stanlio”.
- Oh - sbottò “Ollio” - non è una tomba! È una casa sepolta sotto terra!
- Ci saranno i fantasmi! - continuò a protestare “Stanlio”.
- Sotto terra al massimo troverai delle talpe - sospirò “Ollio”.
- Le talpe mi fanno schifo! - dichiarò “Stanlio”.
- Zitto! - gli intimò il compagno accorgendosi di quella buffa bambina che da qualche minuto li seguiva passo passo.
- Piccolo, orribile sgorbio occhialuto e lentigginoso! - disse poi rivolto ad Angela con un mielato sorriso stampato sul volto - Si può sapere perché diavolo ci segui?
La bambina sentì istintivamente il desiderio di allungare un calcio sugli stinchi di quell’antipatico individuo ciccione che l’aveva chiamata in quel modo così irriguardoso per la sua dignità di undicenne, poi pensò che se l’avesse fatto avrebbe rivelato di comprendere perfettamente l’inglese. Ignorò quindi l’orribile offesa e rispose a sua volta con un altro grande e mielato sorriso.
- Così va meglio, piccolo mostro! - rispose "Ollio" - Vedi di andartene di corsa a quel paese!
Angela capì che, andandosene subito, si sarebbe tradita, così restò ancora qualche istante a gironzolare nei dintorni, poi decise di raggiungere i genitori e di raccontare tutto quello che aveva sentito.
Li trovò al piano superiore, all’interno di una stanza le cui pareti erano ricoperte di splendidi e coloratissimi affreschi.
- Guarda che meraviglia, Angela! - disse Mamma Sandra quando la vide, ma la bambina era troppo eccitata per prestare attenzione ai dipinti e raccontò ai genitori quello che aveva sentito.
- Chissà che cosa si sono detti realmente quei due signori! - brontolò Papà Roberto. -  Di sicuro hai lavorato molto di fantasia...
- ... che, sappiamo, non ti manca! - concluse Mamma Sandra sospirando - E poi, quante volte ti abbiamo detto che non sta bene spiare la gente?
“Perché i grandi non credono mai a quel che dicono i piccoli?” si chiese Angela, rabbuiandosi non solo per la mancanza di fiducia, ma anche perché mamma e papà avevano osato mettere in dubbio la sua conoscenza dell’inglese, che lei riteneva pressoché perfetta.
- Goditi questi affreschi, invece di immusonirti - la invitò il padre. 
 In effetti quei dipinti erano proprio molto belli. Rappresentavano delle rocce colorate su cui crescevano strani fiori simili a gigli e, sullo sfondo si vedevano volare delle rondini stilizzate.
- Pensa, Angela - disse Mamma Sandra cercando di distrarla - che questi affreschi hanno circa tremilacinquecento anni!
- Guarda di qua - la chiamò il padre passando in un’altra stanza e mostrandole altri dipinti che rappresentavano alcune scimmie azzurrine dalle lunghe code che si arrampicavano sulle rocce.
- Tremilacinquecento anni! - sottolineò Papà Roberto.
Quando sentiva parlare di avvenimenti del passato, per comprendere, almeno in parte, quanto tempo fosse veramente trascorso da allora, Angela aveva una sua speciale unità di misura: il “nonno”, ricavata dall’osservazione di quanto era successo nel corso degli anni nella sua famiglia. La bambina, infatti, sapeva che quando era nato il fratello maggiore Carlo, Papà Roberto aveva più o meno trent’anni. Per combinazione, quando era nato Papà Roberto anche suo padre, cioè il nonno Luigi, aveva più o meno la stessa età.
 Immaginando che ogni persona avesse avuto il primo figlio attorno alla trentina, l’espressione”cento anni fa” per Angela equivaleva quindi a dire più o meno “a quel tempo viveva il nonno di mio nonno”.
Ma di quanti”nonni dei miei nonni dei miei nonni dei miei nonni dei miei nonni”, avrebbe dovuto risalire nel passato per capire che cosa significavano veramente tremilacinquecento anni? L’idea di un tempo così lontano e del numero incredibile di “nonni” per arrivarci, dava veramente le vertigini!
- Sai Angela - continuò Papà Roberto - questi affreschi sono stati trovati ad Akrotiri, nell’isola di Santorini, che i Greci antichi chiamavano Thera.
- Ma è dove stiamo andando noi! - esclamò la bambina, che si era ormai dimenticata dei due Americani.
- Certo e visiteremo anche gli scavi - continuò Mamma Sandra - C’è una intera città sepolta dalla lava di un vulcano!
- Se è come a Pompei, è una cosa che abbiamo già visto due anni fa! - sbuffò Carlo che era tornato ad unirsi ai familiari da qualche istante e osservava distratto un altro affresco dai colori vivaci che rappresentava due ragazzi che lottavano - Perché invece non andiamo al mare?
- Akrotiri, la città sepolta che vedremo, è di millecinquecento anni più antica di Pompei! - sospirò Papà Roberto sperando di risvegliare nel figlio maggiore almeno un briciolo di entusiamo.
- Si, va be’ - ribatté Carlo indifferente a quella rivelazione - ma al mare quando ci andiamo?

(...)

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