Capitolo
primo
AL MUSEO ARCHEOLOGICO DI ATENE
In
una calda giornata di fine giugno, più di in turista si chiese che cosa
ci facesse all’interno del Museo Archeologico di Atene quella buffa,
lentigginosa e occhialuta ragazzina di dieci o undici anni, in
maglietta e gonna lunga a fiori, con in testa un cappello di paglia
ancor più buffo di lei che, apparentemente da sola, girava per le sale
con il naso per aria.
Angela, così si chiamava la ragazzina, avrebbe anche potuto passare per
inglese, se non avesse indossato una maglietta su cui campeggiava la
scritta “Io la mia mamma”,
che rivelava la sua nazionalità, inequivocabilmente italiana.
In realtà Angela non era da sola, ma stava visitando il museo assieme
al padre Roberto, alla madre Alessandra, chiamata Sandra per far prima,
e al fratello Carlo, uno spilungone di sedici anni, con le scarpe ormai
lunghe quasi come barche, che sembrava non avesse la minima intenzione
di smettere di crescere e che guardava la sorellina, piccola e minuta,
sempre più dall’alto.
- Quanto tempo sprecato per quattro miserabili cocci antichi, quando si
potrebbe già essere tranquillamente al mare - aveva sbuffato Carlo,
lasciando i genitori e la sorella a contemplare da soli una vetrina di
vasi greci e rifugiandosi al bar del museo.
Con un maxi-bicchierone di Coca Cola davanti e con le mani affondate in
un sacchetto di patatine, il ragazzo se ne stava adesso a sbirciare due
graziose ragazze francesi sue coetanee che, durante la visita non aveva
mai perso di vista e che gli sembravano molto più interessanti di tutte
le “anticaglie piene di muffa” (come le chiamava lui)
contenute in quel noiosissimo museo.
Angela,
invece, che aveva la passione per l’archeologia e le cose antiche in
genere, era tornata indietro da sola a rivedere un oggetto che l’aveva
molto colpita e che i genitori avevano chiamato “la
maschera di Agamennone”.
- Agamennone era un antico e leggendario re greco - aveva raccontato il
padre Roberto - e quando morì il suo volto fu ricoperto con una sottile
lamina d’oro.
- La sua maschera - continuò a spiegare Mamma Sandra - faceva parte di
un vero e proprio tesoro trovato in una tomba vicino all’antica città
di Micene.
L'oggetto aveva colpito molto la bambina perché qualche mese prima, a
scuola, aveva imparato a lavorare “a sbalzo” una sottile lamina di rame
e aveva realizzato un faccione che assomigliava come una goccia d’acqua
a quello del povero Agamennone.
Angela si attardava ora a fantasticare sulle possibilità del suo
piccolo capolavoro di finire nelle vetrine di un museo archeologico
come raro esempio di “arte bambinesca”
del XX secolo dopo Cristo, quando si accorse che dietro di lei c’erano
due strani individui, uno alto e grasso e un altro piccolo e magro, che
sembravano la fotocopia di Stanlio e Ollio e che parlavano tra loro in
inglese.
- Wonderful! -
esclamò “Ollio”.
- Yes,
very, very Wonderful! -
sottolineò “Stanlio”.
Angela pensò che erano proprio buffi e, incuriosita, si avvicinò per
sentire meglio i loro discorsi.
La pronuncia dei due era nasale, tipica dell’inglese parlato dagli
Americani, abbastanza diversa da quella che lei aveva imparato a
scuola, ma la bambina si rese conto che riusciva a capire quasi tutto
quello che i due dicevano. L’inglese era da tre anni la sua materia
preferita, tanto che Angela si divertiva a leggere un sacco di libretti
scritti in quella lingua e ad ascoltare e vedere le videocassette che
una zia le mandava dall’Inghilterra. Già a undici anni era quindi in
grado di capirla e parlarla con una discreta abilità.
- Chissà se il nostro tesoro sarà prezioso come questo? - chiese “Stanlio” all’amico.
- Molto, molto di più - rispose “Ollio”
- la tavoletta d’argilla che abbiamo trovato in quella tomba di Saqqara, in Egitto, parla molto chiaramente!
- Mi sembra strano che una tavoletta... ehm... “trovata”
in Egitto - replicò “Stanlio”
- parli di un tesoro nascosto in un’isola greca!
- Oh! - sbuffò “Ollio” - Fidati di
me! - e così dicendo si allontanò verso un’altra vetrina.
Angela, sempre più incuriosita, decise di seguirli.
- Dovremo scavare di notte e di nascosto - disse “Ollio”.
- Io ho paura di scavare di notte nelle tombe! - obiettò “Stanlio”.
- Oh - sbottò “Ollio” - non è una
tomba! È una casa sepolta sotto terra!
- Ci saranno i fantasmi! - continuò a protestare “Stanlio”.
- Sotto terra al massimo troverai delle talpe - sospirò “Ollio”.
- Le talpe mi fanno schifo! - dichiarò “Stanlio”.
- Zitto! - gli intimò il compagno accorgendosi di quella buffa bambina
che da qualche minuto li seguiva passo passo.
- Piccolo, orribile sgorbio occhialuto e lentigginoso! - disse poi
rivolto ad Angela con un mielato sorriso stampato sul volto - Si può
sapere perché diavolo ci segui?
La bambina sentì istintivamente il desiderio di allungare un calcio
sugli stinchi di quell’antipatico individuo ciccione che l’aveva
chiamata in quel modo così irriguardoso per la sua dignità di
undicenne, poi pensò che se l’avesse fatto avrebbe rivelato di
comprendere perfettamente l’inglese. Ignorò quindi l’orribile offesa e
rispose a sua volta con un altro grande e mielato sorriso.
- Così va meglio, piccolo mostro! - rispose "Ollio"
- Vedi di andartene di corsa a quel paese!
Angela capì che, andandosene subito, si sarebbe tradita, così restò
ancora qualche istante a gironzolare nei dintorni, poi decise di
raggiungere i genitori e di raccontare tutto quello che aveva sentito.
Li trovò al piano superiore, all’interno di una stanza le cui pareti
erano ricoperte di splendidi e coloratissimi affreschi.
- Guarda che meraviglia, Angela! - disse Mamma Sandra quando la vide,
ma la bambina era troppo eccitata per prestare attenzione ai dipinti e
raccontò ai genitori quello che aveva sentito.
- Chissà che cosa si sono detti realmente quei due signori! - brontolò
Papà Roberto. - Di
sicuro hai lavorato molto di fantasia...
- ... che, sappiamo, non ti manca! - concluse Mamma Sandra sospirando -
E poi, quante volte ti abbiamo detto che non sta bene spiare la gente?
“Perché i grandi non credono mai a quel che dicono i piccoli?” si
chiese Angela, rabbuiandosi non solo per la mancanza di fiducia, ma
anche perché mamma e papà avevano osato mettere in dubbio la sua
conoscenza dell’inglese, che lei riteneva pressoché perfetta.
- Goditi questi affreschi, invece di immusonirti - la invitò il padre.
In
effetti quei dipinti erano proprio molto belli. Rappresentavano delle
rocce colorate su cui crescevano strani fiori simili a gigli e, sullo
sfondo si vedevano volare delle rondini stilizzate.
- Pensa, Angela - disse Mamma Sandra cercando di distrarla - che questi
affreschi hanno circa tremilacinquecento anni!
- Guarda di qua - la chiamò il padre passando in un’altra stanza e
mostrandole altri dipinti che rappresentavano alcune scimmie azzurrine
dalle lunghe code che si arrampicavano sulle rocce.
- Tremilacinquecento anni! - sottolineò Papà Roberto.
Quando sentiva parlare di avvenimenti del passato, per comprendere,
almeno in parte, quanto tempo fosse veramente trascorso da allora,
Angela aveva una sua speciale unità di misura: il “nonno”,
ricavata dall’osservazione di quanto era successo nel corso degli anni
nella sua famiglia. La bambina, infatti, sapeva che quando era nato il
fratello maggiore Carlo, Papà Roberto aveva più o meno trent’anni. Per
combinazione, quando era nato Papà Roberto anche suo padre, cioè il
nonno Luigi, aveva più o meno la stessa età.
Immaginando
che ogni persona avesse avuto il primo figlio attorno alla trentina,
l’espressione”cento anni fa” per
Angela equivaleva quindi a dire più
o meno “a quel tempo viveva il nonno di mio
nonno”.
Ma di quanti”nonni dei miei nonni dei miei
nonni dei miei nonni dei miei nonni”, avrebbe dovuto risalire
nel passato per capire che cosa significavano veramente
tremilacinquecento anni? L’idea di un tempo così lontano e del numero
incredibile di “nonni” per
arrivarci, dava veramente le vertigini!
- Sai Angela - continuò Papà Roberto - questi affreschi sono stati
trovati ad Akrotiri, nell’isola di Santorini, che i Greci antichi
chiamavano Thera.
- Ma è dove stiamo andando noi! - esclamò la bambina, che si era ormai
dimenticata dei due Americani.
- Certo e visiteremo anche gli scavi - continuò Mamma Sandra - C’è una
intera città sepolta dalla lava di un vulcano!
- Se è come a Pompei, è una cosa che abbiamo già visto due anni fa! -
sbuffò Carlo che era tornato ad unirsi ai familiari da qualche istante
e osservava distratto un altro affresco dai colori vivaci che
rappresentava due ragazzi che lottavano - Perché invece non andiamo al
mare?
- Akrotiri, la città sepolta che vedremo, è di millecinquecento anni
più antica di Pompei! - sospirò Papà Roberto sperando di risvegliare
nel figlio maggiore almeno un briciolo di entusiamo.
- Si, va be’ - ribatté Carlo
indifferente a quella rivelazione - ma al mare quando ci andiamo?
(...)
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