CAPITOLO
4
HANNO
RAPITO JACOPO!
I
tre ragazzi procedevano in fila indiana. Martina camminava in testa spingendo la
bicicletta anche se, dopo l’intervento di Filippo, avrebbe potuto inforcarla e
precedere i compagni. Jacopo la seguiva docile ed era ridiventato ottimista
sulla possibile reazione della professoressa Marchi. L’insegnante avrebbe
brontolato un po’, ma, influenzata da Martina per la quale aveva un debole,
sicuramente si sarebbe limitata a una breve paternale. Filippo seguiva i
compagni bofonchiando e prendendo a calci ogni sassolino, barattolo o cartaccia
gli capitasse a tiro. Il progetto di passare mezza giornata rintanato dentro la
nuova sala giochi era sfumato per colpa della Secchiona
e di quella pera cotta di Jacopo. Non se l’era sentita di annoiarsi tutta la
mattina da solo, ma allo stesso tempo non sopportava l’idea di averla data
vinta a Martina.
— Sbrighiamoci,
ragazzi! Il preside di me si fida, ma non dobbiamo esagerare con il ritardo!
— li esortò
la ragazzina. Filippo avrebbe voluto invitare la compagna a
piantarla con quella storia della sua familiarità
con il dirigente, ma non ebbe
nemmeno il tempo di aprire bocca, che un furgone bianco sbucò
all’improvviso
da una stradina secondaria sbandando e facendo stridere i pneumatici
sull’asfalto.
— Ehi, ma che fa
quello? — esclamò
Filippo, rendendosi conto che il furgone puntava dritto su
di loro. — Attenti! — gridò
ai compagni balzando indietro. Martina
lasciò
andare la bicicletta e lo imitò prontamente. Jacopo, invece,
restò impalato a
bocca aperta, immobilizzato dallo spavento e incapace di reagire.
— Togliti! — gli urlò
Martina, mentre il conducente del furgone evitava di investirlo con un
improvviso colpo di sterzo e si arrestava di botto.
— Ahò! Imbecille! Ma
chi ti ha dato la patente? — inveì Filippo, addossato a una rete metallica che
fiancheggiava il viale. Per tutta risposta, la portiera laterale del furgone si
aprì con un gran fracasso e ne balzarono fuori due uomini alti e robusti con il
volto coperto dal passamontagna.
— Ma no, andiamo!
Dicevo così
per dire! — si
schermì
Filippo, temendo di essere andato
giù
troppo pesante, ma i due energumeni lo ignorarono e se la presero con Jacopo,
afferrandolo per le braccia e scaraventandolo di peso all’interno del mezzo.
— Via, via! —
urlarono balzando a bordo e richiudendo la portiera. Il furgone ripartì
sgommando e si dileguò
in un battibaleno svoltando in una strada laterale.
Martina e Filippo si fissarono l’un l’altra sbigottiti.
— Aiuto! Hanno rapito
Jacopo Ferretti! — gridò
lei dopo aver superato la sorpresa e lo spavento, ma
il viale era deserto e nel giro di parecchie centinaia di metri non c’erano
che campi.
— Ma... ma... chi
erano quelli? Dobbiamo fare qualcosa, avvertire qualcuno! — balbettò
tutta
agitata.
— I ca... i
carabinieri! — farfugliò
Filippo, con le gambe che gli tremavano, mentre un
sospetto si faceva largo con prepotenza nella sua mente.
— Sì, i carabinieri!
— approvò la compagna rimettendo in piedi la bicicletta. Filippo gliela
strappò
di mano e la inforcò. Martina
balzò di traverso sulla canna del telaio e dopo
aver zigzagato pericolosamente per una ventina di metri, il compagno riuscì
finalmente ad assumere un assetto pi? stabile, dirigendosi di gran carriera
verso la stazione dei carabinieri.
— Più
in fretta,
più
in fretta! — gridò
Martina.
— Faccio quel che
posso! — protestò
Filippo. La bicicletta era troppo piccola per lui e per di
più
la sella era regolata sulla statura mingherlina di Martina. Come se non
bastasse, Filippo era anche impedito dalla presenza della compagna sulla canna e
si trovava costretto a pedalare a gambe larghe, senza riuscire a stenderle del
tutto sui pedali. In tal modo la sua andatura risultava lenta, buffa e
zigzagante come quella di un ubriaco, tanto che, imboccando con discreta foga il
vialetto che portava alla stazione dei carabinieri, per poco non perse
l’equilibrio e non si ritrovò
a fare un groviglio unico con compagna e
bicicletta.
— Ehi! Dove andate?
— li apostrofò
un giovane carabiniere che stava entrando nella piccola
stazione. — Lo sapete che non si può
andare in due in bici?
— Un nostro compagno
è
stato rapito! — urlò Martina, mentre Filippo arrestava il vecchio catorcio
aiutandosi con i piedi, poiché i freni erano
pressoché inservibili.
— Che cosa? — chiese
incredulo il milite. La bici finì
a terra in mezzo al vialetto e i ragazzi
saltarono addosso al povero carabiniere berciando assieme a gran voce.
— Ehi, piano! Parlate
uno alla volta! Non vi capisco! — urlò
il milite, tentando di tenerli a
distanza e di calmarli.
— Che succede qui
fuori? — chiese un collega più
anziano facendo capolino dall’uscio
dell’edificio.
— Brigadiere, non lo
so! Non ci capisco niente! — rispose il giovane carabiniere.
— Falli venir dentro!
— ordinò
il brigadiere.
— Che c’è, che cosa
è
successo? — chiese l’uomo al giovane collega, non appena Filippo e Martina
misero il piede all’interno della casermetta, ma i due ragazzi continuavano a
parlare in contemporanea, per di pi? a voce alta, e non riuscirono a farsi
capire neppure stavolta.
—
È
scoppiata la
guerra? — intervenne il maresciallo Ginestri, comandante della piccola
stazione dei carabinieri di San Bortolo, facendo capolino da una stanza. Filippo
e Martina lo riconobbero e si rivolsero a lui piantando in asso il brigadiere.
— Calma, calma!
Spiegatevi uno alla volta! Innanzi tutto, perché
non siete a scuola a
quest’ora? — gridò Ginestri.
Bastò questa domanda per zittire
istantaneamente i due ragazzi.
—
È
un reato bruciare
la scuola? — chiese Filippo.
— Vuoi dire darle
fuoco? — chiese l’uomo aggrottando le sopracciglia.
— Ma no, vuol dire “marinare”,
“bigiare”
— spiegò
Martina.
— Siete venuti a
costituirvi perché
avete marinato la scuola? — chiese l’uomo scoppiando a
ridere.
— Ma no! — replicò
Martina risentita. — Siamo solo in ritardo! Siamo qui per denunciare il
rapimento di un nostro compagno!
—
Sì! Jacopo Ferretti è appena stato rapito! — confermò Filippo.
(...)
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