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da "Il bastione della Gatta", di Beppe Forti, Edizioni Tredieci, Oderzo (TV) 1998.

Capitolo primo

  NERINA E LE MURA DELLA CITTA'

Nel lontano 1509 nella città di Padova viveva una gatta di nome Nerina che aveva il compito di tenere lontani i topi dal grano e dai sacchi di farina accumulati nel magazzino del mugnaio Bortolo. Spesso, però, dalle pigre acque del fiume Bacchiglione, che attraversava la città e muoveva le pale del mulino, uscivano certi grossi topi fulvi, (chiamati “pantegane” nel dialetto locale) così enormi e minacciosi che avrebbero fatto scappare non solo una gattina bianca e nera di un anno e mezzo come lei, ma anche il glorioso leone di San Marco, la cui immagine ornava gli stendardi rossi e gialli che sventolavano sulle porte della città.
Così Nerina trovava molto più divertente arrampicarsi sugli spalti delle alte mura che circondavano Padova e che, a quanto sembra, nel loro genere erano uniche in tutta Italia, se non in tutta Europa, sia per bellezza che per robustezza. Esse, ornate di merli e di torri lungo tutto il loro perimetro, erano di tale altezza da costituire  uno scenario spettacolare per la città, ed un ostacolo insuperabile per i malcapitati nemici ai quali fosse venuto in mente di provare a scalarle.
- Perché quella gatta non fa il suo mestiere? - tuonava il mugnaio Bortolo, che era un omone grande e grosso sui trentacinque anni, quando trovava i sacchi di grano e di farina sventrati dalle “pantegane” uscite dal fiume.
- Ma “siòr pare”  (signor padre) - osava  rispondere il figlio Daniele, che aveva più o meno dieci o undici anni - è ancora piccola!
- Altro che piccola! - continuava il mugnaio - È solo una mangia-pane a tradimento! Va a finire che la ficco in un sacco la spedisco a mio cugino di Vicenza, che se la mangi allo spiedo, al forno, alla brace o come diavolo preferisce!
- No, “siòr pare” - implorava con le lacrime agli occhi Giustina, la sorellina di Daniele, che aveva sei anni e che era molto affezionata alla gatta.
Benché sbraitasse tanto, alla fine Bortolo non metteva mai in atto il suo  progetto, perché, anche se a prima vista sembrava un burbero omaccione, in fondo era buono come il pane. Nerina, poi, era il giocattolo preferito dei figlioli, per i quali l’omone stravedeva.
Fu così che anche in quella bellissima e tiepida mattina di maggio dell’anno 1509, saltando di tetto in tetto, Nerina raggiunse la sommità delle mura e prese senza esitare la via dei merli che conosceva ormai perfettamente.
La mura di Padova erano state costruite in tempi diversi perché, man mano che la città si sviluppava, per proteggere i suoi nuovi quartieri era stato innalzato un nuovo tratto di muro.
All’inizio del ‘500 l’abitato si trovava così racchiuso da due cerchie principali, di cui la più interna circondava il centro più antico, mentre quella più esterna corrispondeva al massimo sviluppo della città al tempo della nostra storia. Le due cerchie  erano poi congiunte tra loro da lunghi tratti di mura.
Salita sulla sommità di un merlo nelle vicinanze di una delle numerose porte della città, Nerina si era messa  ad osservare  il panorama.
- È arrivata la nostra amica! - disse un soldato che camminava sugli spalti.
- Sta facendo la guardia alla città! - commentò ridendo un altro che se ne stava un po’ più in alto sulla torre che sovrastava la porta.
Il primo soldato allungò una mano per accarezzare Nerina, che lo lasciò fare facendo le fusa.
- Guarda! - esclamò ad un tratto quello che stava sulla torre, indicando verso la campagna.
Un cavaliere lanciato al galoppo si avvicinava rapidamente alla città alzando dietro di sé un gran polverone.
- Allarme! Fuori la guardia!  - Esclamò il primo soldato sporgendosi all’interno delle mura.
Dopo qualche istante dalla base della torre uscì un drappello di guardie che si precipitarono all’esterno della porta con le armi spianate.
- Sono un soldato di San Marco - gridò a squarciagola il cavaliere ai soldati che gli sbarravano il passo - Fatemi entrare! Ho un messaggio urgente per il Capitano!
- Da dove vieni? - chiese al cavaliere il capoposto delle guardie.
- Vengo da Agnadello! - rispose il cavaliere tutto trafelato - L’esercito Veneziano è stato sconfitto! Padova è in pericolo, presto, portatemi dal Capitano!
Dalle case e dalle botteghe vicine uscì in un baleno una piccola folla.
- Che succede? - si chiedevano tutti l’uno con l’altro, ma nessuno sapeva rispondere.
- Di sicuro niente di buono - commentarono in molti.
Il capoposto, intanto, era salito a sua volta a cavallo e gridava al cavaliere di seguirlo facendosi largo tra la gente. La piccola folla fece subito ala ai due destrieri che sparirono al galoppo tra le case.
- Pare che Venezia abbia perso la guerra - annunciò qualcuno.
- Tutti in piazza dal Capitano! - urlò qualcun altro.
- Tutti in piazza, tutti in piazza! - rispose in coro la folla precipitandosi come un fiume in piena sulle orme dei due cavalieri, mentre un trombettiere, salito sulla sommità della torre, faceva squillare il suo strumento contro il cielo azzurro.

(...)

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