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UN NUOVO COMPAGNO IN SECONDA C
“Epifania tutte le feste le porta via”
dice il proverbio e anche il 7 gennaio di quell'anno la Seconda C della scuola
secondaria inferiore “Peter Pan” dovette dare l'addio a quindici giorni di
pranzi in famiglia, interminabili sedute di tombola, abbuffate di torrone,
panettone e pandoro, distribuzione di regali, mance degli zii, gite in
montagna, grandi dormite e play station senza limiti di orari con amici e
cugini.
I caloriferi erano bollenti, ma quella mattina in
classe c'era lo stesso un gran gelo. Durante le vacanze di Natale il
riscaldamento della scuola era stato spento, le pareti stentavano a riscaldarsi
e ci sarebbe voluto qualche giorno per far tornare confortevole la temperatura.
Erano parecchi, tuttavia, a sudare freddo lo stesso.
Una buona parte della Seconda C, infatti, aveva rinviato di giorno in giorno
l'esecuzione dei compiti per casa illudendosi di avere a disposizione un sacco
di tempo ma, a forza di prendersela comoda, l'ultimo giorno di vacanza era
arrivato a tradimento e gran parte dei compiti era rimasta incompiuta. Chi
l'avrebbe sentita la professoressa Grisetti, insegnante di lettere? Per non
parlare del professor Rizzetto, docente di matematica, della Luciani, di
inglese, e di tutti gli altri insegnanti della Seconda C? Quella del 7 gennaio
avrebbe potuto essere davvero per molti una mattinata di terrore.
— Ciao ragazzi, come sono andate le vacanze? Che avete fatto di interessante?
— chiese la Grisetti dopo l'appello e venti mani si alzarono con un
sincronismo perfetto.
“Se riusciamo a distrarla con le chiacchiere sulle feste, forse si dimentica
dei compiti” pensarono tutti quelli che non avevano la coscienza a posto.
— Bene, e ora passiamo ai lavori per casa — dichiarò la Grisetti alla fine
della chiacchierata. Una buona metà dei suoi allievi fu colta dal panico, ma
proprio in quel momento si verificò qualcosa che distolse almeno per qualche
istante l'insegnante dal dispensare rimproveri, note e brutti voti. Qualcuno,
infatti, bussò alla porta e furono in molti a illudersi di veder comparire la
bidella Odilla con una circolare ministeriale che decretava l'abolizione
perpetua e retroattiva dei compiti per casa. Non si trattava, però, di
quell'armadio di donna che era l'operatrice scolastica, spauracchio di tutti i
ragazzi della scuola e forse anche dei professori e perfino del preside. No, ad
affacciarsi sull'uscio dell'aula fu un ragazzo biondo e gracile, pallido in
viso e con gli occhi di un blu intenso, seduto su una sedia a rotelle spinta da
una bella signora sui quarant'anni.
— Mi scusi per il ritardo — si giustificò la donna. — Siamo stati
trattenuti in segreteria perché mancavano dei documenti. Lui... lui è
Federico De Bortoli — concluse, accennando al ragazzo.
Ecco a chi apparteneva il nome sconosciuto che a settembre, alla prima ora del
primo giorno di scuola, il professor Rizzetto
aveva pronunciato facendo l'appello.
— Chi è? Un ripetente? — si chiesero quella mattina ragazze e ragazzi
scrutando la classe alla ricerca di un volto nuovo.
Nessuno rispose alla chiamata e, in corrispondenza di quel nome, l'insegnante
vergò sul registro la “a” di assente. La stessa cosa si verificò il
giorno dopo e i seguenti e alla fine De Bortoli Federico fu dimenticato fino a
quel 7 gennaio, quando la Seconda C lo vide comparire dal nulla sulla sedia a
rotelle.
— Oh, finalmente abbiamo il piacere di conoscerti! — esclamò la Grisetti
scendendo dalla pedana della cattedra e tendendogli la mano. Lui la ignorò del
tutto e lei rimase con la mano sospesa nel vuoto. Per qualche istante in
Seconda C calò un tale imbarazzo che si poteva quasi tagliarlo con un
coltello.
— Federico... — mormorò la madre mortificata e l'insegnante risolse la
situazione tendendole la mano.
— Piacere, signora, io sono Lucia Grisetti, insegnante di lettere — si
presentò.
— Piacere mio, Elena Somenzi — si presentò a sua volta la madre del
ragazzo stringendo la mano alla professoressa. — Lo scusi, sa... è un po'
spaesato.
— Non si preoccupi, è comprensibile — la tranquillizzò la Grisetti.
Tutti gli alunni della Seconda C si chiesero quale malattia costringesse il
nuovo ragazzo a starsene su quel trabiccolo con le ruote e se lo domandò anche
Francesca Ferrari, una ragazza minuta con i capelli neri a caschetto e gli
occhi scuri come il carbone, tanto che a stento si riusciva a distinguere
l'iride dalla pupilla.
Federico De Bortoli non era certo il ritratto della salute, eppure Francesca lo
trovò carino. Aveva sempre pensato ai maschi come a dei bisonti rozzi e
informi, capaci di esprimersi solo a rutti e spintoni, per non parlare di altre
manifestazioni di origine gastro-enterica con le quali si dedicavano a
interminabili gare e tornei con tanto di classifica finale e mancava solo che
si premiassero l'un l'altro con coppe e medaglie.
Rimaneva un mistero per lei come facessero le compagne a prendersi delle cotte
bestiali per quei discendenti diretti dell'uomo di Neanderthal, ed era la prima
volta che considerava dal punto di vista estetico un rappresentante di quella
sottospecie primitiva. Sì, a malincuore doveva ammetterlo: nonostante il
pallore del viso, con quegli occhi blu Federico era proprio carino, peccato
fosse costretto sulla sedia a rotelle. Lui, invece, sembrava infastidito da
tanta attenzione e mentre la madre e la Grisetti
parlavano, fissava corrucciato il pavimento dell'aula senza degnare il
resto della classe di un solo sguardo.
— Chi si crede di essere? — mormorò Giacomo Ferlini, il cui più grande
divertimento era tormentare i compagni più deboli.
Francesca lo incenerì con un'occhiata e lui le mostrò la lingua. Tra loro non
c'era mai stata una gran simpatia e in quarta elementare si erano addirittura
accapigliati perché lei era corsa in difesa di Samir, un ragazzino di origine
marocchina che il bulletto aveva preso di mira con i suoi scherzi pesanti.
Francesca era impulsiva, impertinente con gli adulti e non esitava a protestare
per ogni cosa, ma era anche generosa e sempre pronta a prendere le difese degli
altri. Non era tipo da farsi mettere sotto da qualcuno e quella volta la
maestra fu costretta a chiamare in aiuto la bidella, perché la ragazzina si
era trasformata in una furia e da sola non riusciva a staccarla dai capelli di
Giacomo. Non era mai successo che il compagno scoppiasse in lacrime. Solo
Francesca era riuscita a farlo piangere e da allora lui si era sempre guardato
bene dal provocarla. Anche adesso che, crescendo, era diventato molto più alto
e robusto di lei, continuava a tenersene accuratamente alla larga.
Prima di andarsene, la madre di Federico si avvicinò al figlio e gli fece una
carezza.
— Mi raccomando... — lo esortò sottovoce. Lui alzò le spalle ed evitò di
guardarla negli occhi. Lei si lasciò sfuggire un sospiro, salutò l'insegnante
con un'altra stretta di mano e uscì dall'aula.
— Bene — esordì la Grisetti — e adesso, prima di metterci al lavoro,
ognuno di voi si alzerà in piedi e si presenterà a Federico, così farete
conoscenza.
Cominciò Carlotta che era la più vicina. Pronunciò il proprio nome
aspettandosi un cenno di saluto dal ragazzo che, invece, la ignorò del tutto.
Carlotta tornò a sedersi mortificata e dopo di lei, uno alla volta, si
presentarono tutti gli altri; Federico, tuttavia continuò a comportarsi come
se nemmeno esistessero.
— Forse è solo un po' timido... — sussurrò Francesca, rispondendo allo
sguardo interrogativo di Martina, la sua amica del cuore fin dalla scuola
dell'infanzia.
— Oppure, oltre alle le gambe fuori uso, ha anche qualche rotella che gli
gira male! — osservò Giacomo Ferlini, senza nemmeno preoccuparsi di parlare
a bassa voce.
Francesca lo incenerì con un'occhiata e per tutta risposta lui reagì con uno
dei gestacci di cui era un vero specialista.
(...)